Tutti i video del diario giornaliero dei laboratori
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Intro
La conoscenza non si somma, al limite si moltiplica.
È una questione ontologica, e se volete anche geometrica. Forse potremmo rappresentare la conoscenza come una forza. Un vettore all’interno di uno spazio. Sicuramente due saperi diversi non si possono semplicemente cumulare uno sull’altro. La loro interazione è differente. Si moltiplicano, creano un’area, disegnano un nuovo spazio.
Raccontarvi XYZ significa, appunto, raccontarvi di uno spazio, un nuovo spazio.
Questo spazio si è riempito di cento persone per dodici giorni, lasciandosi abitare per auto-generarsi, attraverso una moltitudine di sguardi, parole e azioni.
È stato – anche – un esperimento sociale.
Lo scopo principale dei tre laboratori era co-progettare l’identità (x), gli strumenti (y) e i processi (z) di quella che da ottobre sarà La Scuola Open Source, attraverso lo sviluppo di una serie di output, che vi presenteremo in questo report.
Nel mentre, avevamo un secondo obiettivo: mettere i docenti e i partecipanti in una condizione di osmosi di esperienza, sia dal punto di vista delle competenze (tecniche e teoriche) sia dal punto di vista umano.
Questo esperimento è stato anche un banco di prova per l’organico della SOS rispetto alla complessità che ci attende da qui in avanti.
Per raccontarvi questa storia abbiamo deciso di utilizzare differenti tipi di strumenti: foto, testi, video e collegamenti ipertestuali; coinvolgendo e collegando altri sguardi oltre ai nostri, come quello di Salvatore Zingale (uno dei docenti) o di Paolo Musano (uno dei partecipanti).
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Galleria
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Didattica
Il "tipico" processo di apprendimento hacker ha inizio con l'individuazione
di un problema interessante, quindi lavora per risolverlo usando fonti diverse,
e poi sottomettendo la soluzione a test prolungati. Molto spesso si tratta di percorsi
non lineari, guidati più dalle proprie passioni che da un metodo formalizzato.
È stato verificato come, ad esempio, l'utilizzo del "reverse engineering" sia ricorsivo.
Un'altra delle caratteristiche di questo modello è che non ci si vergogna mai di chiedere
aiuto a chi ne sa di più.
La disintermediazione, anzi, ci permette di trasmettere la conoscenza
in modo più intelligente, perché chi più sa trasmetterà a coloro che saranno arrivati a un livello
tale da sviluppare quella richiesta di conoscenza rara (e non a chiunque), mentre la maggior parte
dei nodi della rete, in possesso di informazioni meno rare, creerà l'humus nel quale, attraverso
lo scambio continuo e reciproco, potrà svilupparsi più rapidamente una sostanziale qualità delle
informazioni, oltre che una coscienza collettiva.
Il punto di forza del modello di apprendimento
hacker è che chiunque impara qualcosa poi lo insegna ad altri. Quando un hacker studia un codice
sorgente di un programma, spesso lo sviluppa ulteriormente, in modo che altre persone possano
apprendere da questo lavoro. Intorno ai vari problemi si sviluppa così una costante e continua
conversazione a più voci. Una discussione critica, iterativa ed evolutiva. La ricompensa per la
partecipazione a questo processo è il riconoscimento tra pari.
Le linee guida "ex ante" progettate per la didattica
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Contesto
A monte dei laboratori avevamo ipotizzato alcune possibili relazioni con gli attori che insistono sullo stesso territorio della SOS, nel borgo antico di Bari, nell’ambito della cultura.
Queste relazioni sono state poi esplorate dagli stessi partecipanti, durante lo svolgimento dei laboratori, e hanno portato alla nascita di servizi e processi emersi spontaneamente in base alle necessità da loro individuate.
Due esempi su tutti: il rapporto con il Museo Civico, che ha portato i partecipanti a poter fruire di uno spazio addizionale (e climatizzato) con funzione di aula studio, e la signora Nunzia, nota signora del borgo che produce quantità industriali di pasta fresca, che ha preparato da mangiare per i partecipanti a pranzo con un contributo simbolico.
Entrambi questi servizi sono stati resi possibili dal lavoro dei partecipanti che dopo aver individuato le necessità e analizzato contesto e variabili, hanno saputo stabilire e gestire delle relazioni finalizzate a uno scambio equo.
Per la SOS questa è stata l’occasione per poter prototipare dei processi e delle dinamiche emersive nella comunità, in vista di un lavoro stabile sullo stesso territorio a partire dal mese di ottobre.
X – La prima fase del laboratorio X è stata impiegata per analizzare e studiare il materiale prodotto dalla SOS fino a quel momento, in particolare l’abstract del progetto, il business model e lo statuto. Successivamente si è lavorato per individuare una serie di parole chiave che incarnassero in vario modo uno o più aspetti caratterizzanti il progetto SOS. Le parole così individuate sono state raggruppate secondo delle associazioni di senso, e su questi gruppi di concetti si è lavorato per individuare dei concept progettuali: Multiverso, Antifragilità, Opera Aperta e Freak (o anche Chimera).
A partire da questo momento è iniziata una ricerca iconografica finalizzata alla sintesi dell’elemento minimo del sistema d’identità.
Una volta individuato il sistema base, che si compone delle quattro parole “la / scuola / open / source” disposte sempre agli angoli di uno spazio qualsiasi (sia esso fisico o virtuale), è stata concepita una performance: “il manifesto open source”. Durante questa esperienza, realizzata in concomitanza con l’Open Day, si è potuto testare il comportamento di un vasto gruppo di persone, anche di passanti per Piazza del Ferrarese, a cui era chiesto di riempire lo “spazio vuoto” con delle macchie, da realizzarsi con strumenti analogici quali penne, pennarelli, tempere e via dicendo.
Da qui in avanti i partecipanti ad X si sono divisi in tre gruppi: sistema d’identità, sito web e publishing. Mentre il gruppo publishing ha iniziato a ragionare sugli strumenti, le metodologie e le tecnologie di pubblicazione, il gruppo web ha iniziato a lavorare sull’architettura dei contenuti e sulle dinamiche di fruizione della piattaforma, il terzo gruppo ha iniziato a definire l’abaco degli elementi del sistema d’identità, lavorando prima su una palette cromatica incentrata principalmente su tre colori “fluo” e poi su un carattere tipografico open source, l’HK GROTESK, scelto dopo una accesa discussione nella quale si è deciso di adottarlo a patto che fosse modificato. La modifica del carattere aveva un duplice obiettivo: sistemare le lettere che si riteneva fossero bisognose di un intervento, e introdurre nel set compositivo degli elementi “altri” che lo connotassero in modo più coerente con i valori e la visione della SOS. È stata così realizzata un’iniezione di punk e di costruttivismo che ha portato al disegno del carattere FREAK GROTESK. Su questa base (proporzioni dei glifi, ratio di contrasto, morfologia delle curve) è stata concepita una griglia compositiva per il set di pittogrammi, e sono stati disegnati i primi elementi di questo sistema iconografico. Infine è stato definito un algoritmo per la creazione delle macchie che faranno parte del sistema d’identità. Grazie a questo algoritmo è stato possibile progettare e realizzare anche un software in processing che gestisce parametricamente le macchie e la loro genesi.
Si è così arrivati a definire un sistema che si articola su tre livelli:
(1) uno istituzionale, in cui l’identità è affidata solo alle quattro parole disposte sugli angoli dello spazio;
(2) uno promozionale, che utilizza anche la macchia (in tutte le sue possibili configurazioni) come elemento d’identità;
(3) uno non regolamentato, aperto.
Sulla base di questa tripartizione, mentre i gruppi publishing e web finalizzavano la progettazione degli strumenti di comunicazione digitali (tanto dal punto di vista dei processi quanto della forma) il terzo gruppo progettava gli intestati: biglietti da visita, carta intestata, bandiere, template per manifesti e campagne affissione, segnaletica e merchandising.
I lavori si sono conclusi con una seconda performance: la produzione di cento borse shopper realizzate attraverso l’utilizzo della serigrafia (un telaio per il livello istituzionale/tipografico e poi, come per l’eperimento precedente, la composizione a mano libera e con strumenti di fortuna, per il livello libero e non regolamentato).
Quest’ultima performance è servita sia per testare ed esplorare le possibilità del nuovo sistema d’identità, quanto per varcare la soglia che ci porta dal vecchio sistema d’identità, basato sul racconto della pirateria, al nuovo, basato sui quattro termini individuati nella fase iniziale: il freak, l’antifragilità, il multiverso e l’opera aperta.
Y – Durante i primi giorni ciascun docente, tutor e partecipante si è raccontato agli altri, sia come individuo che come professionista. Tutte le informazioni scaturite sono state tradotte in parole chiave che schematizzate hanno dato vita a un elenco degli interessi, delle passioni e di tutte le competenze presenti al tavolo.
Dal terzo giorno il gruppo si è dedicato allo studio delle esigenze di ciascun laboratorio e di quali strumenti adottare per facilitarne lo svolgimento.
Sono stati realizzati dei divisori in cartone per migliorare l’acustica di Sala Murat, il luogo dove si sono svolti la maggior parte dei lavori. Inoltre è stata allestita una piccola officina di prototipazione rapida e fabbricazione digitale.
È stato realizzato un server basato sul sistema operativo opensource Linux, indispensabile per l’implementazione della maggior parte dei servizi condivisi e per la raccolta di dati su un database.
Uno step fondamentale è stato chiedere agli stessi partecipanti cosa stesse loro piacendo e cosa invece proprio non piacesse. Sono venute fuori diverse considerazioni utili ed importanti, tra cui l’esigenza di un FARE concreto; molti hanno curiosato negli altri gruppi per poi tornare più coesi ad Y, alcuni nei giorni successivi si sono spostati con il Mercato Cooperativo in Z, altri hanno fatto da spola con X e Z per fare da report al procedere di Y.
Dopo aver dotato tutti laboratori degli strumenti necessari ad affrontare la fase più operativa dei lavori e aver compreso la direzione di X e Z, i partecipanti si sono divisi in gruppi a seconda delle competenze e delle volontà individuali.
Sono stati formati due macrogruppi, quello dell’internet delle cose (IOT), e quello dei microservizi.
In quello di IOT è stata subito studiata la mappa delle interazioni che intercorreranno tra gli stakeholders e la scuola per poi immaginare e definire tutte le possibili tecnologie implementabili. È stato deciso di progettare e realizzare i prototipi degli elementi cardine di una rete IOT, fondamentali per gestire e far fruire i servizi, interconnettere cose e persone e grazie a cui raccogliere e rilasciare dati.
Per quanto riguarda la comunicazione e lo scambio di informazioni è stato deciso di utilizzare slack, uno strumento opensource multipiattaforma, con versione browser e app per i vari smartphone phablet tablet e facilmente installabile e fruibile anche per i neofiti.
Sono stati definiti e installati sul server sia la piattaforma per la condivisione dei documenti OwnCloud, sia la repository per la condivisione del codice GitLab.
Dopo alcune discussioni sugli strumenti di analisi si è sentita la necessità di sviluppare in pratico alcuni strumenti che potessero servire per estrarre infomazioni dai vari social utilizzati. In particolare si è sviluppato un bot di slack per fare sondaggi e poter raccogliere informazioni senza invadere troppo la vita dei partecipanti alle lezioni.
Nel gruppo costituitosi per discutere degli OPENDATA gli argomenti che hanno guidato maggiormente le discussioni e le decisioni sono stati:
1. detenzione dei dati
2. proprietà dei dati
3. strumenti di condivisione
4. strumenti di analisi
5. privacy e tipi di dati da raccogliere
Alcuni dei punti toccati nella discussione sono stati la giustezza della raccolta dati, di che tipo di dati si parlasse, della correttezza di raccogliere dati personali, o di obbligare persone a condividere i dati personali per poter partecipare alla scuola.
Ovviamente è emersa un dilemma o meglio un evoluzione di un problema.
Utilizzando la scheda elettronica programmabile Raspberry Pi si è realizzato l’hub della la rete IOT che ha la funzione di gestire i dati generati da sensori, attuatori e dalle persone oltre che essere nodo dell’interazione tra essi e al tempo stesso un ponte con il server creato durante i primi giorni.
Il Server è a sua volta collegato a un database ed è accessibile dai fruitori dei servizi attraverso internet.
In parallelo è stato realizzato un dispositivo basato su Moteino, nodo della rete IOT che invia dati all’hub tramite wireless. Durante l’open day è servito a far esprimere ai visitatori il proprio voto in sulla riuscita della manifestazione. È progettato per essere installato in ogni ambiente della scuola e può essere implementato con qualsiasi tipo di sensore.
Sempre grazie a Moteino e grazie anche alla tecnologia dei tag RF-ID è stato realizzato un sistema per gestire e monitorare gli accessi di tutti gli utenti della scuola connesso con l’ IOT, il database, l’app e il software gestionale.
Il gruppo Microservizi ha lavorato alla progettazione di un software gestionale, allo sviluppo del prototipo di un app e al mercato delle idee.
In asse con il laboratorio X sono state anche definite le funzionalità del sito internet.
Partendo dalla individuazione di necessità di base dei singoli stakeholders e dalle tecnologie a disposizione, è stato progettato un sistema modulare costituito da “microservizi” che hanno il compito di fornire e gestire una determinata informazione.
L’accesso ai microservizi è reso possibile da un’ app e un gestionale dall’interfaccia modulare, dove ogni modulo permette l’accesso a uno o più servizi. Ad esempio, l’elenco dei corsi è fornito da un microservizio, sapere chi fa parte di un corso è possibile grazie a un modulo che unisce le informazioni di due microservizi: persone e corsi.
Dopo aver definito gli attributi potenziali del software tali dati sono stati analizzati per giungere a significati precisi ed univoci e disinnescare eventuali conflitti concettuali. A questo punto si sono simulate diverse use cases attraverso un gioco di ruolo. Ci si è divisi in gruppi di studenti, docenti e amministratori e sono state definite le esigenze e le abbiamo tradotte in funzioni, riordinandole in clusters.
Il gruppo di lavoro sul mercato cooperativo ha da subito assunto una forma liquida e nel corso del tempo si è interfacciato sia con gli studenti di Y per la progettazione della sezione del software gestionale riguardante il mercato delle idee, che con quelli di Z per la governance.
Una componente didattica di teoria sulla cooperazione ha proceduto in parallelo con il lavoro libero su quali fossero le determinanti di quello che si voleva fosse il mercato cooperativo. Prima di valutare l’ipotesi di una valuta alternativa si è fatto un focus sui possibili stakeholders nel mercato cooperativo e ci si è chiesti quali dinamiche regolassero il mercato e che tipo di risoluzione del conflitto poteva essere prevista nel momento in cui fossero sorti i primi contrasti.
A seguito di una sensibilizzazione generale sull’argomento governance relativo anche alla presa di coscienza interna al gruppo sul mercato cooperativo, il laboratorio si è spostato da Y a Z per affrontare appunto il tema del “processo di governance” con gli altri partecipanti e tutor/docenti.
L’esito finale è quello di un mercato delle idee sulla base dell’Open Space Technology e di una governance dinamica modulare ed antifragile, impostata sul rispetto delle diversità.
In sintesi si prevede la presenza di due status, quella del ruolo (docente, bidello, etc) e quello del partecipante, che possono essere tranquillamente invertiti e comunque dinamici. L’output di eventuali votazioni dev’essere utilizzato in modo proporzionale: il costo di investire nelle minoranze rappresenta in realtà un investimento.
Il metodo fa riferimento agli gli otto principi isolati dal premio nobel Elinor Ostrom per la governance non centralizzata.
Z – Inizialmente i partecipanti di Z si sono divisi in sottogruppi per leggere, analizzare e discutere l’abstract, il business plan e lo statuto della SOS. La discussione aveva lo scopo di sintetizzare alcune parole chiave. A fine giornata ogni sottogruppo ha presentato i risultati del proprio lavoro in una riunione plenaria. Il raggruppamento delle parole chiave ha portato all’individuazione di alcuni macrotemi: comunità, open source, leadership, scuola, processi, località, innovazione, economia. Completata questa fase si è lavorato per distillare dei gruppi di parole chiave che descrivessero la SOS, utilizzando tre modalità differenti: il dialogo, la clusterizzazione, la scelta delle parole.
Questi gruppi di parole sono poi serviti per l’elaborazione di sei diverse proposizioni, o statement, in grado di rappresentare i princìpi alla base della SOS. Durante questa fase sono emerse questioni che hanno generato conflitti: ad esempio, il termine “Processo” è stato visto come troppo vago; oppure, l’espressione “Open Source”, è stato osservato, si presenta come un concetto fortemente associato alla tecnologia. Da qui una serie di domande: “Come si applica l’esperienza mutuata da X, XY e XYZ al resto della Scuola?”; “Quali sono le implicazioni etiche della scuola?”; “Quali saranno le fonti di guadagno della scuola?”; “Che cosa succede se qualcuno intende aprire un’altra SOS in un’altra città?” o “Perché fondare una SRL?”.
Dopo il terzo giorno i partecipanti hanno riformulato i gruppi precedenti, definendo quattro nuovi gruppi di lavoro:
Z1: ha continuato a lavorare sugli statement facendo dei test sulle persone, interne ed esterne alla scuola, con l’obiettivo di creare delle proto-personas;
Z2: si è occupato dell'analisi dei sistemi e dei processi emersi durante i primi giorni, proseguendo con l'astrazione di modelli;
Z3: si è occupato della parte relativa alle relazioni all'interno dei gruppi e dei laboratori (X, Y, Z), svolgendo un’azione finalizzata a risolvere situazioni di difficoltà di integrazione;
Z4: si è occupato di mediare tra tutti i gruppi, affinché le informazioni fossero efficaci ed efficienti, lavorando perché tutti i partecipanti fossero iscritti ai canali di comunicazione, garantendo che gli strumenti fossero accessibili.
Questa suddivisione è stata suggerita anche dalla necessità di collegare e fare interagire tra loro i tre tavoli XYZ in modo più incisivo, il che ha portato parte dei sottogruppi Z a considerare l’intera esperienza XYZ come fosse un meta-modello della Scuola. Si era così a circa un terzo del laboratorio quando una parte del gruppo Z2 si è incontrato con una parte del gruppo Y per parlare e discutere di come i processi della SOS, una volta individuati e mappati, potessero rappresentare dei "contenitori" di dati. La prima parte dell'incontro è stata centrata su una panoramica sui dati, il loro utilizzo nella società di oggi e l'utilità di rendere rappresentabili e accessibili i risultati di una lavorazione su dati. La seconda parte dell'incontro è stata focalizzata su due macro-processi da monitorare e strutturare: Governance e Didattica.
A metà del laboratorio uno dei tutor (affiancato da una facilitatrice certificata) ha guidato una sessione di “Lego serious play” che ha coinvolto 28 dei partecipanti (sui 60 totali dei tre laboratori) per aiutare i partecipanti a formalizzare in maniera alternativa le tante idee che si erano presentate nel corso della prima settimana e riportare i gruppi su un terreno comune. Il “serious play” si è svolto in due parti: nella prima si è riflettuto su alcune modalità di apprendimento tecnico (riprodurre un modello, seguire istruzioni, sperimentare, improvvisare) e costruzione dei processi della Scuola Open Source (utilizzare analogie per rappresentare uno o più processi della scuola in maniera individuale; presentare a turno il proprio lavoro; lavorare in gruppo per sintetizzare assieme i processi condivisi). Contemporaneamente un altro sottogruppo di Z si è occupato di mappare i flussi di conoscenza che si sviluppano tra la Scuola e gli attori coinvolti internamente ed esternamente. L'output riportato è stato utile per avere una mappa concettuale completa di come la conoscenza si trasmette nella scuola, come punto di riflessione sui modelli organizzativi e per rappresentare processi e dinamiche della SOS.
A conclusione della prima settimana è stato osservato che lavorare in modo condiviso senza che tutti i membri dei team si conoscessero può costituire una criticità. Per tale ragione si sono verificati dei casi di frustrazione che potremmo definire “da attrito” rispetto a modalità che molti non avevano mai utilizzato prima. All’inizio della seconda settimana, come previsto, si sono unite al gruppo due nuove docenti che hanno proposto una struttura ben delineata che ha aiutato a dare dei riferimenti oggettivi a chi ne aveva bisogno. Sono state così definite delle precise fasi di lavoro, per permettere momenti di focus molto intensi e momenti di riposo più lunghi. Le docenti hanno modificato l’articolazione dei gruppi, individuando nuovi temi di lavoro e nuove connessioni. Se la settimana precedente si era lavorato intensamente alla decostruzione dei preconcetti su cosa sia e cosa dovrebbe essere una scuola, a partire dall’analisi lessicale dei termini usualmente utilizzati per rappresentare una attività educativa e di formazione, all’inizio della seconda settimana è stata iniziata un’operazione di costruzione. A questo scopo, un’azione preliminare è stata quella di superare la scarsa reciproca conoscenza fra i partecipanti al gruppo Z. I precedenti sottogruppi hanno così ripresentato i temi sui quali avevano cominciato a lavorare, sottolineando per ogni tema quello che secondo loro era il valore da sviluppare. Inoltre, nel pomeriggio è stato dedicato del tempo a delle sintetiche auto-presentazioni (sul modello del PechaKucha), in modo tale che ognuno potesse (in soli due minuti) farsi conoscere meglio e raccontare i propri interessi, le capacità che intendeva condividere le motivazioni che lo avevano portato a partecipare alla progettazione della Scuola Open Source. In conseguenza di ciò, docenti e tutor hanno proposto la riarticolazione dei sottogruppi, definendo sei nuovi gruppi di lavoro, ricombinando i partecipanti in gruppi eterogenei per conoscenze, capacità e interessi. Le tematiche individuate durante la mattinata del lunedì sono state a loro volta suddivise in quattro nuove macro-aree: didattica/ricerca; misurazione/valutazione; comunità/accesso; governance. Da martedì si è cominciato a lavorare sui concepts dei processi per la Scuola Open Source. I nuovi gruppi hanno individuato, discusso e deciso il macro-tema con il quale avrebbero voluto confrontarsi per il resto della settimana; successivamente, dopo aver scomposto la tematica, i gruppi hanno discusso su che cosa in particolare avrebbero voluto concentrarsi, per cercare di arrivare a ottenere un risultato concreto entro la fine del laboratorio. Per aiutarli in questo processo di ricostruzione, concretizzazione e co-design, i tutor e i docenti hanno proposto di approcciarsi al problema mettendosi nell’ottica della progettazione di un servizio. La riflessione si è quindi spostata dall’analisi dei processi alla progettazione, concreta e dettagliata, della SOS come erogazione di un servizio, spostando il focus sull’esperienza dell’utente che usufruirà di tale servizio.
Seguendo questa via si è arrivati a dei veri e propri prototipi (experience prototype) capaci di identificare le possibili criticità e punti aperti della SOS. In particolare, per la progettazione della scuola come servizio, ai gruppi è stato suggerito l’utilizzo del Service Blueprint. Per arrivare alla creazione del blueprint, i gruppi hanno affrontato tre fasi: lo storyboard, il role-play, la finalizzazione in un customer journey per il blueprint. Nella prima fase i gruppi si sono confrontati con lo storyboard, ovvero hanno provato a delineare l’esperienza nell’utilizzo del servizio raccontando una storia. Nella seconda fase, per scendere ancora di più nel dettaglio della progettazione, i gruppi sono stati messi alla prova con una sessione di “role play”.
Ogni gruppo ha “messo in scena” il concept sul quale stava lavorando. Questa modalità ha permesso una divertente condivisione con gli altri team, dai quali sono stati ricevuti feedback costruttivi che hanno consentito un’ulteriore riflessione sui concept. L’ultima fase è stata quella di allineamento e di raffinamento del servizio con modalità diverse. Partendo dallo storyboard e dai feedback ottenuti con il role-play, ogni gruppo ha ridiscusso, analizzato e ri-progettato il concept dettagliandolo in un blueprint o in un prototipo (ad esempio la Open Night nella serata del giovedì), passando dal concept all’azione. Quest’ultima fase ha permesso ai vari gruppi di prepararsi per la presentazione finale, evidenziando punti aperti e complessità. Le presentazioni finali, infatti, sono state utilizzate con il preciso intento di esporre le criticità che erano emerse durante la progettazione ai membri della scuola, al territorio e ai membri degli altri laboratori X e Y. Ogni gruppo, durante la presentazione finale, non ha solo visualizzato il servizio con blueprint o il prototipo, ma ha anche predisposto delle domande o uno storyboard specifico per ricevere feedback e interagire su criticità per far emergere un lavoro di continua riflessione nel migliorare dei servizi proposti. Durante il laboratorio Z, il ruolo dei docenti e dei tutor è stato quello di seguire e facilitare la progettazione, lasciando tuttavia completa autonomia creativa e decisionale ai diversi team. I docenti in particolare hanno avuto il compito di restituire e ricomporre i concept all’interno di un ecosistema che riflettesse le macro-tematiche della Scuola Open Source. La riflessione sull’ecosistema ha permesso di evidenziare e discutere, durante la seconda settimana, i diversi punti di vista sui processi, di identificare le parti che erano state meno sviluppate e di individuare dove fosse necessario uno sforzo maggiore. I partecipanti hanno risposto a ogni stimolo, ottenendo otto diversi processi che esaltano e si ricombinano con le tematiche e le mappe dei valori pensati durante la prima settimana di decostruzione. In conclusione, la sfida per i gruppi Z è stata molto complessa. I gruppi Z, infatti, si sono confrontati con una progettazione difficile, quella dei processi, gestendo una molteplicità di possibili complessità. I gruppi Z hanno progettato servizi, che non sono oggetti fisici, ma sistemici, che si rivolgono al locale e nello stesso tempo al globale. Hanno immaginato servizi che potessero essere completamente nuovi ma mantenendosi sempre in relazione con il territorio e il contesto sociale. Si sono focalizzati sulla progettazione delle nuove esperienze che la scuola potrebbe offrire e produrre. Ne hanno progettato una molteplicità, seguendo le loro diverse conoscenze e inclinazioni. Si sono confrontati con i possibili stakeholder e con i diversi canali di comunicazione, progettando una Scuola Open Source in perfetta relazione dialogica con il suo territorio e le sue intenzioni iniziali.
Gli elaborati dei gruppi Z propongono un modello di servizi e una struttura della scuola che permette di mantenere una completa apertura sia verso l’esterno (verso le aziende e le altre università) sia verso il suo interno (nella relazione scuola/docenti/studenti e nella proposte relative alla didattica), senza tralasciare le tematiche di controllo (governance) e valutazione (sostenibilità).
I lavori del gruppo Z hanno fornito con grande cura del dettaglio una mappa di temi che rappresenta l’’ideale’ della SOS, mappa che riteniamo possa dare indirizzi e spunti di riflessione sulle decisioni strategiche e la scalabilità del progetto.
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Bilancio
Come ci ha raccontato Bertram Niessen (direttore scientifico di CheFare e docente durante XYZ) durante uno dei TALK, i processi di innovazione producono quattro differenti tipi di valore: economico, sociale, culturale e simbolico. Questi quattro tipi di valore sono collegati tra loro. È quindi possibile trasformare del capitale di un tipo in uno o più capitali di tipi differenti. Ed è secondo questi princìpi che ci siamo mossi, cercando, attraverso XYZ, di far fruttare il capitale economico (parte del premio vinto con il bando CheFare), quello sociale (le relazioni accumulate negli anni attraverso i Laboratori dal basso X, XY e il lavoro di tutti noi) e quello culturale (le competenze e le esperienze maturate nel corso delle nostre vite).
Ciò che abbiamo fatto è complesso e difficilmente rappresentabile.
Sicuramente il coinvolgimento di tante persone, portatrici di molteplici competenze, ha prodotto osmosi di conoscenza. Sulla base di questa osmosi, che possiamo considerare un humus, si sono innestate delle ulteriori dinamiche: ci si è conosciuti, si sono messe in condivisione le proprie esperienze, ci si è messi in gioco facendo cose pratiche assieme (uno dei modi migliori che gli esseri umani hanno per entrare in relazione), abbiamo immaginato che cosa avremmo potuto fare assieme, da qui in avanti.
Questo genera più di un semplice trasferimento di competenze.
In particolar modo, il contesto di empatia e passione, unito alla cornice del luogo – Bari Vecchia, la Puglia, il Sud –, ha innescato un processo di mitopoiesi, e quindi ha incrementato anche il valore del capitale simbolico.
Abbiamo, quindi, a fronte di un investimento di tipo economico (ma non solo), prodotto un incremento dei tre capitali rimanenti: sociale (relazioni), culturale (competenze) e simbolico (reputazione / senso comune).
Nel tempo, a fronte di un aumento di uno o più capitali differenti, anche gli altri tendono ad aumentare.
Questo è il senso dell’operazione, sopratutto all’interno di una specifica cornice, quella per cui, usando le parole di Kevin Lynch in L’immagine della città, del 1960: “non vi è alcun risultato finale, solo una successione continua di fasi”. E se vale per le città, che sono il prodotto dell’interazione sociale degli individui, forse vale anche, più in generale, per la realtà che produciamo tutti assieme, interconnessi.
Il laboratorio XYZ ha ricevuto 199 domande d’iscrizione a fronte di 60 posti disponibili.
Il 93 per cento di coloro che hanno preso parte a XYZ (docenti, tutor, partecipanti, staff) ha valutato con un valore pari o superiore al 8/10 la qualità dell’esperienza.
Il 51 per cento di coloro che hanno preso parte a XYZ (docenti, tutor, partecipanti, staff) ha valutato con un valore di 10/10 la qualità dell’esperienza.
Il 94 per cento di coloro che hanno preso parte a XYZ (docenti, tutor, partecipanti, staff) ha risposto con un valore pari o superiore a 8/10 alla domanda “parteciperesti ad un altro evento organizzato da La Scuola Open Source?”.
Il 66 per cento di coloro che hanno preso parte a XYZ (docenti, tutor, partecipanti, staff) ha risposto con un valore pari a 10/10 alla domanda “parteciperesti ad un altro evento organizzato da La Scuola Open Source?”.
Sulla base dei dati fornitici dai partecipanti sulle spese affrontate durante il periodo di XYZ, a fronte di un’investimento di circa 20.000 € ha generato un indotto sul territorio pari a circa 35.000 € in 12 giorni.
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Di seguito i principali punti di debolezza / criticità individuati dai partecipanti:
→ Convenzioni per i partecipanti sia per vitto che per aloggio e trasporti
→ Connessione internet wifi
→ Climatizzazione
→ Mancanza di spazi e tempi per la decompressione e la contaminazione fuori dagli orari di studio
→ Tendenza a non rispettare gli orari (a causa della complessità delle attività in simultanea e del loro numero)
→ Warm-up tra docenti e tutor prima dei laboratori
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Di seguito i principali punti di forza / opportunità individuati dai partecipanti:
→ L’atmosfera
→ L’empatia
→ La capacità di costruire ponti
→ Lo stimolo ad andare oltre i propri limiti
→ La radicalità
→ La coerenza
→ Docenti e tutor di livello internazionale
→ La contaminazione reciproca
→ La comunicazione esterna “ongoing”
→ La tolleranza
→ L’audacia
→ La libertà di germinazione data ai processi che si sono autogenerati
→ La partnership con Ethnic Cook
"…"
Di seguito alcune frasi che descrivono la percezione dei partecipanti:
→ Collettività, legame forte, osmosi di persone
→ Una scuola in cui si impara a imparare l'uno dall'altro
→ Fermento di vitalità e voglia di cambiare prospettiva. Luogo di raduno delle menti ma anche dei corpi che vogliono provare a offrire e ad offrirsi un futuro che valga la pena
→ SOS è una piattaforma dinamica, dove gruppi e sotto-gruppi nascono di continuo per inseguire obiettivi comuni. Si impara e si insegna di tutto e per tutti
→ Una piattaforma reale di formazione e ricerca, per lo sviluppo di progetti di forte innovazione sociale e territoriale. Un luogo di sperimentazione, avventura e scoperte, un porto sicuro per costruire nuovi modi di guardare al mondo
→ Luogo di libertà e indipendenza formativa e culturale. Aggregatore di saperi, esperienze e visioni
→ Uno sforzo necessario per capire e cambiare il nostro futuro
→ È la possibilità di ripensare un bene comune come la scuola, su misura dei suoi partecipanti e della comunità in cui darà i suoi frutti
→ La Scuola Open Source non è riempire un secchio, ma accendere un incendio
→ Una scuola dove si va "a bottega" per imparare ad esprimere ed esprimersi, un posto dove scambiare e moltiplicare strumenti e conoscenza
→ Uno spazio condiviso in cui le persone più diverse per età, conoscenze e modi di essere si incontrano per crescere insieme
→ La Scuola Open Source è una fantastica promessa, che deve essere mantenuta
→ SOS forza il futuro nel presente: libera
→ È il luogo dove è possibile restare utopisti, pur mantenendo i piedi nel fango
→ Una polveriera di idee da detonare
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E adesso?
Dal 9 all’11 saremo a Milano in Triennale nell’ambito di Touchpoint. Racconteremo il progetto SOS e i risultati di XYZ, aprendoci alla discussione con platee di livello nazionale e internazionale.
Poi lavoreremo assieme alla comunità che si è radunata attorno a questa esperienza per finalizzare gli output, in particolare il gestionale, il sito web e il sistema d’accesso e la raccolta dati, in modo da poter iniziare le attività, come programmato, a ottobre.
Inoltre abbiamo in mente di lavorare anche per presentare dei bandi attraverso i quali finanziare attività di ricerca e didattica, l’acquisto di materiali e il coinvolgimento di persone e competenze pregiate sul progetto.
Nei prossimi mesi prenderemo, davvero, possesso dello spazio della SOS, installando i primi macchinari, e attrezzandolo in modo che possa accogliere quanto è stato progettato durante i tre laboratori.
Pianificheremo le prime attività didattiche e di ricerca, che si svolgeranno fino a dicembre, presenteremo la nostra candidatura a NIDI, un bando della Regione Puglia, avvieremo un programma di affiancamento per chi, tra i partecipanti a XYZ (ma non solo) vorrà partecipare a PIN (un bando della Regione Puglia per i progetti d’innovazione tecnologica, sociale o culturale).
Continueremo a tessere la rete, aggregando pezzi di mondo nuovo, cercando costantemente di generare valore per la comunità di riferimento e il territorio su cui insistiamo, su più livelli: il borgo antico di Bari, la Puglia, il Mediterraneo, l’Unione Europea.