Verso un Gestionale per Nuove Istituzioni!
A cura di Tommaso Guariento.
Varie voci, fra filosofia politica e sociologia, futurologia ed economia affermano che a partire dalla fine degli anni ‘70 il settore di punta della produzione di gran parte dei paesi europei e degli Stati Uniti sia transitato da un orientamento industriale ad un’economia della conoscenza, dell’informazione e dei servizi (AC, 104,105). Questo cambiamento di paradigma fu letto dai teorici dell’operaismo italiano come passaggio da un modo di produzione fordista al post-fordismo, e come conseguente indebolimento delle istituzioni che avevano caratterizzato il potere disciplinare dal XVIII sino al XX secolo.
Questo potere si manifestava in strutture architettonicamente e concettualmente chiuse: luoghi di produzione, confinamento e dressage nei quali gli individui transitavano consecutivamente nelle varie occupazioni e fasi delle loro vite. Scuole, fabbriche, carceri, ospedali, manicomi, ma anche teatri, cinema, musei e ancora: architetture moderniste standardizzate, grands ensembles, centri commerciali, aeroporti.
Il tempo e lo spazio della produzione e della riproduzione erano rigidamente codificati, tuttavia il controllo delle esistenze si esercitava, per così dire, in modo formale, non intaccava direttamente la totalità della vita individuale e collettiva. Da un altro punto di vista, quello del tecno-utopismo californiano di autori come Kevin Kelly (F, Inevitable), l’avvento di Internet, della cibernetica, degli studi sull’intelligenza artificiale e la crescente automazione del lavoro avrebbero condotto ad un’alterazione antropologica e sociale: l’utopia libertaria della network society.
Noi ci troviamo in questo Interregno conteso fra immaginari distopici ed utopici, entusiasmi accelerazionisti e depressioni psico-politiche.
É quindi necessario porsi nuovamente una domanda circa le modalità di organizzazione dell’agire collettivo: Che fare, dunque?
Cos’è una costituzione?
Il contenuto di questo articolo non è altro che l’elaborazione di una semplice analogia: scrivere un codice (informatico) significa tracciare le linee guida di una nuova costituzione, o, per dirlo in maniera sintetica:
code = law
Per comprendere appieno la portata di questa equazione, bisogna innanzitutto dedicarsi a un breve esercizio definitorio. Non tutte le norme sono strutturate come codici, e non tutti i linguaggi di programmazione sono utili a spiegare il funzionamento di una costituzione. Ciò che dobbiamo conoscere, per condurre correttamente la dimostrazione di questa analogia, è la struttura linguistica degli enunciati che compongono codici e costituzioni. Ma perché proprio una costituzione e non un altro tipo di normativa? Perché evidentemente la costituzione possiede delle caratteristiche peculiari che la rendono adatta a spiegare l’innovazione giuridica in un momento di transizione.
In primo luogo la costituzione moderna è il testo giuridico che fonda la validità di tutti le leggi nazionali, regionali o municipali (C, 16, 17).
Il secondo elemento è il fatto che “Tutte le moderne costituzioni sono nate in seguito a uno sconvolgimento più o meno violento del regime politico che le precedeva” (C, 4). E tuttavia, questo sconvolgimento (ad es. la Rivoluzione Americana e Francese) viene occultato nell’atto stesso di scrittura della norma: “[…] il soggetto dell’enunciato risulta dall’auto-eliminazione del soggetto dell’enunciazione nel gesto della scrittura […] la violenza originaria è cancellata, il consenso è nato, il diritto è auto-creato” (C, 23, 24).
In terzo luogo, la costituzione è un documento composto da enunciati nella forma performativa del comando (C, 18), ovvero di frasi che non dicono il vero o il falso, ma sono valide o non valide.
Infine, ciò che rende effettiva la validità della costituzione non è tanto il contenuto semantico e sintattico dei suoi enunciati, ma l’esistenza di un potere poliziesco e coercitivo che sanziona gli atti contrari al suo contenuto (C, 21).
Ma analizziamo più in dettaglio il punto tre: gli enunciati di cui si compone una costituzione altro non sono che ordini, atti di comando. Nella trattazione di questo particolare tipo di formulazioni tracciata da Giorgio Agamben apprendiamo che le formule di comando costituiscono una vera e propria ontologia che si contrappone alla relazione mimetica fra linguaggio e mondo (CC, 102, 103), affermando invece l’imposizione creativa del linguaggio sul mondo.
Mentre all’ontologia del primo tipo corrispondono discipline come la scienza e la filosofia, l’ontologia del secondo tipo determina il funzionamento della magia, della giurisprudenza e della religione. In fondo, quello che i linguisti chiamano enunciati performativi (CC, 105) altro non sono che la sopravvivenza di forme magiche, rituali e liturgiche (un’indistinzione che ancora troviamo nelle forme arcaiche del diritto romano). Ciò che distingue la forma specifica del comando da quella della preghiera o dell’incantamento, è che la validità della sua esecuzione dipende solamente dalla materialità della sua potenza coercitiva: “Occorre evitare con cura l’equivoco secondo cui il significato dell’imperativo consisterebbe nell’atto della sua esecuzione. L’ordine impartito dall’ufficiale ai soldati è perfetto per il solo fatto di essere proferito: che esso sia obbedito o disatteso non inficia in alcun modo la sua validità” (CC, 100).
Per riassumere:
(a) la costituzione è un testo che garantisce la validità di tutte le norme da essa sovradeterminate;
(b) occultando la violenza originaria che caratterizza il periodo che precede la sua invenzione;
(c) composto da enunciati di tipo performativo che si vogliono produttivi di realtà, piuttosto che mimetici o modellizzanti;
(d) la quale funziona per mezzo della coercizione e della sanzione degli atti che non rispettano le sue leggi.
Codici, protocolli, algoritmi
Per sviluppare l’equazione code = law, bisogna continuare il lavoro di definizione, distinguendo tre dispositivi o procedure apparentemente simili: il codice informatico, i protocolli e gli algoritmi. “Il codice è un insieme di procedure, azioni e pratiche, finalizzate in particolare al raggiungimento di particolari obiettivi in particolari contesti. Codice = prassi” (P, xii) “Il codice è basato sul processo: è parsificato, compilato, procedurale o object-oriented e definito da standard ontologici. Un codice è una serie di ingranaggi meccanici attivati, o una pila di schede perforate che circolano attraverso una macchina per la lettura di nastri, o un flusso di impulsi di luce o bit in un transistor o su silicio, o il contenitore dei legami tra frammenti di DNA” (P, xiv).
Non solo: il codice è un modello d’interpretazione bio-tecnologico (P, xxi), basato sulla plasticità del concetto di informazione: gli organismi e le macchine si comportano come esecuzioni di una partitura musicale comune.
Infine, il codice è l’insieme di regole grammaticali e sintattiche nel quale si producono degli enunciati performativi che, dal punto di vista linguistico-pragmatico, sono parzialmente simili ai principi di una costituzione. “Ma come può il codice essere così diverso dalla semplice scrittura? La risposta sta nella natura unica del codice informatico. Non sta nel fatto che il codice è sublinguistico, ma piuttosto nel fatto che è iperlinguistico. Il codice è una lingua, ma un linguaggio molto speciale. Il codice è l'unico linguaggio eseguibile” (P, 165) “Il codice è il primo linguaggio che fa ciò che dice: è una macchina per convertire il significato in azione. Il codice ha un significato semantico, ma è anche una messa in atto del significato” (P, 166). La differenza fra l’enunciazione performativa del diritto e quella del codice è di tipo logico. Il codice si fonda su una logica materiale, che influenza direttamente il rapporto fra linguaggio e mondo. In questo senso, il codice è molto più simile alla sfera della magia e della profezia che a quella del diritto e della religione. In un articolo pubblicato sulla rivista reazionaria Jacobite, l’analogia fra coding e sfera del proto-diritto magico è portata alle sue estreme conseguenze: i coders, in quanto classe, avrebbero preso il posto degli antichi sacerdoti che governavano semioticamente interpretando segni ed eventi. Questo tecno-elitismo ci è estraneo, poiché riteniamo che la politica sia il prodotto di un’azione collettiva, immanente e anti-gerarchica, tuttavia teniamo per buono il fatto che il tipo di conoscenze e prassi espresse nel coding siano in realtà molto più ramificate della mera competenza ingegneristica che viene loro assegnata.
Il secondo sostantivo che dobbiamo illustrare è protocollo, un termine che indicava il primo foglio di un rotolo di papiro sul quale venivano giustapposti più strati. Tecnicamente, il protocollo è l’insieme delle formule diplomatiche (autori, destinatari, indirizzi) che rendono possibile una comunicazione formale. In senso esteso è il complesso delle norme di etichetta che debbono essere seguite per consentire lo svolgimento di una comunicazione ufficiale. Nel lessico informatico, il protocollo è: “[…] un insieme di raccomandazioni e regole che descrivono standard tecnici” (P, 6). Nell’interpretazione di Alexander Galloway, la scrittura dei protocolli è omologa all’atto di delineare una costituzione: “[…] la creazione di protocolli fondamentali è qualcosa di simile al diritto costituzionale, nel senso che i protocolli creano il nucleo di regole da cui discendono tutte le altre decisioni. E come i giudici della Corte Suprema hanno il controllo sull'interpretazione della Costituzione americana, chiunque abbia il potere sulla creazione di tali protocolli esercita il potere su un'area molto ampia” (P, 245). Uno dei protocolli più importanti è chiamato RFC (Request for comments), vera e propria “carta costituzionale” di Internet, introdotta nel lontano 1969 (quando ancora c’era Arpanet) e tutt’ora gestita da un’équipe internazionale di tecnici e aperta ad integrazioni e proposte di chiunque voglia contribuire (ed abbia le competenze tecniche per farlo). Non bisogna pensare ai protocolli come semplici standard tecnici o noiosi documenti burocratici – si tratta invece di dispositivi tecno-politici (P, 241) che cristallizzano i desideri di innovazione in forma algoritmica, e allo stesso tempo tentano di essere radicalmente inclusivi e massimamente proteiformi. Il protocollo, inoltre, è la forma specifica che il potere politico assume nel momento in cui la società moderna e le sue strutture giuridiche, lavorative ed istituzionali entrano in crisi.
L’ultimo elemento, l’algoritmo, nella nostra analogia corrisponde alla dimensione del singolo enunciato giurisprudenziale (la norma) e al singolo programma eseguito in un codice. Per algoritmo si intende metonimicamente la logica astratta che permette il funzionamento del codice (AC, 97). Se il codice è l’insieme delle regole sintattiche e semantiche che presiedono alla comunicazione, ed il protocollo la struttura pragmatica e convenzionale che i parlanti devono rispettare, l’algoritmo è un testo o un discorso, ovvero ciò che avviene quando il linguaggio viene messo in moto.
A livello generico l’algoritmo funziona esattamente come una ricetta: ci fornisce delle regole in sequenza per preparare una pietanza — ovvero: risolvere un problema — (AC, 132). L’algoritmo connette macchine produttive (ad es. un telaio automatizzato) a macchine documentali (un archivio di dati), trasformando un sapere (ad es. la conoscenza della ricetta tramandata oralmente) in una procedura (la ricetta).
Gli algoritmi trasformano il sapere vivo della conoscenza in capitale fisso.
Cosa succede quando questa conoscenza viva viene estratta, formalizzata e utilizzata contro i suoi stessi erogatori? Secondo Matteo Pasquinelli gli algoritmi sono macchine che moltiplicano il plusvalore (AC, 98, 99), ed in particolare possiedono la funzione di accumulare informazioni, estrarre metadati e automatizzare le operazioni. Gli algoritmi hanno una natura ambivalente: da un lato alleggeriscono, razionalizzano e accompagnano gesti manuali e compiti mentali umani (AC, 113), dall’altro, istituendo un modello di razionalità macchinica, alterano profondamente la natura dei processi psichici, causando nuove patologie affettive e cognitive.
Nelle parole di Franco Berardi: “Con la parola 'automazione' non intendo una macchina, ma un organismo super-individuale bioinformatico che può attraversare singolarità sensibili ma non può essere attraversato da queste. Il superorganismo bioinformatico produce senso seguendo regole che sono conformi alla macchina digitale [...] L'automa prende il posto dell'organismo individuale sensibile e cosciente in grado di perseguire efficaci strategie di differenziazione e di trasformare il proprio ambiente di conseguenza: questo era il significato della politica, nell'ambito di comunicazione sequenziale alfabetica” (F, The Brisk Mutation). La tesi di Franco Berardi, che ritroviamo in autori come Mark Fisher, Catherine Malabou, Bernard Stiegler e Byung-Chul Han, è che l’effetto psicologico e sociale dell’automazione sia quello di deteriorare in senso iper-competitivo le relazioni umane, producendo un’epidemia di disturbi depressivi, cognitivi, affettivi ed attenzionali.
La manipolazione di simboli, divenuta la principale attività lavorativa e ricreativa, non costituirebbe affatto l’edenica dissoluzione del lavoro in un insieme di attività ludiche, ma comporterebbe una radicale trasformazione antropologica: una neo-umanità incapace di identificarsi con un’attività lavorativa iper-alienante, che trova scampo solo nella narcosi farmaceutica e nella ludificazione (F, The Brisk Mutation).
A fianco di questo immaginario catastrofista e apocalittico si situa la tesi ottimistica di Negri e Hardt, espressa in Assembly: “Che cos’è un algoritmo? È capitale fisso, una macchina nata dall’intelligenza sociale cooperativa, un prodotto del “General Intellect”. Benché il valore dell’attività produttiva sia estratto dal capitale, non bisogna dimenticarsi che il potere del lavoro sociale è alla base di questo processo, lavoro vivo che è virtualità e potenzialità, disposto ad affermare la sua stessa autonomia: in assenza di lavoro vivo non c’è alcun algoritmo” (A, 118).
Per i due autori la produzione cooperativa (umana e non-umana, macchinica e biologica) eccede continuamente la cattura capitalistica e neoliberale. Il passaggio al post-fordismo si espande oltre i tempi e luoghi della produzione industriale, innervandosi nella metropoli, nell’arena globale della finanza, nelle forme dello spatial fixation.
È evidente che a questo livello si manifesta una contraddizione fra le prospettive psico-politiche di Berardi, Fisher e Malabou e quelle operaiste di Negri e Hardt: laddove per i primi le conseguenze delle politiche neoliberali di governo dell’automatizzazione sono deleteri per la psiche e per gli ecosistemi, per i secondi, la precarietà, la vulnerabilità e l’impoverimento delle forme di vita contemporanee contengono i semi rivoluzionari di una continua messa in discussione delle istituzioni:
“La precarietà è diventata una sorta di condizione esistenziale generalizzata. D’altro canto, le nostre capacità cooperative di produzione, connesse sia dentro che fuori il mondo del lavoro salariato, costantemente si sviluppano e si confrontano nel terreno del comune, e il comune possiede il potere di provvedere a forme di sicurezza che i/le precari/e necessitano e richiedono” (A, 59).
Accelerare il potere costituente – Il gestionale per nuove istituzioni
Abbiamo parlato di costituzione e di algoritmi, descrivendo le affinità linguistiche che avvicinano il coding a un atto politico di invenzione costituzionale. Si tratta ora di comprendere, con gli stessi strumenti, il significato complessivo di un progetto tecno-politico: il Gestionale per nuove istituzioni co-progettato presso La Scuola Open Source nel corso dei laboratori di ricerca e co-progettazione XYZ (durante le edizioni 2016 e 2017), sviluppato da Coompany e tuttora in via di ampliamento e perfezionamento grazie alla collaborazione di MACAO, Faircoop, Bank of the Common, Wemake e Dyne.org.
Ancora una volta, dobbiamo formulare una definizione: che cos’è il potere costituente e come il suo significato politico può transitare dall’ambito del diritto a quello dell’informatica? In primo luogo, il potere costituente è un problema della filosofia politica moderna, da Machiavelli a Tocqueville, da Marx a Kelsen (PC, 7-20). “Nella tradizione della teoria costituzionale moderna, il potere costituente, in contrasto con quello costituito [established], designa un evento rivoluzionario, un’eccezione all’ordine legale che esprime ex nihilo un nuovo ordine politico, di cui la Rivoluzione Francese ed Americana sono gli esempi classici. In termini legali la sovranità del potere costituente deriva precisamente da questo carattere eccezionale. L’atto della “presa del potere” è identificabile dalla sua natura evenemenziale, dall’unità sociale delle forze rivoluzionarie, e, per molti commentatori, dal suo carattere puramente politico (piuttosto che sociale o economico)” (A, 32). Nella sua forma contemporanea, il potere costituente non rappresenta solamente la potenza che dona forma alle nuove istituzioni giuridico-politiche, ma una possibilità di re-inventare i modi di organizzazione collettiva di una comunità. Pensare a un potere costituente algoritmico non significa, però, ipotizzare una dissoluzione della decisione politica in favore di una forma automatizzata di governance, come quella prospettata nell’assimilazione della teoria dei sistemi all’apparato giuridico da parte di Günther Teubner (A, 37), al contrario si tratta di re-immaginare il divenire macchina del corpo sociale e l’umanizzazione delle procedure macchiniche, com’è evidenziato dal modello per il Commoncoin elaborato da MACAO.
In questo senso, un potere costituente algoritmico non è più una cristallizzazione del lavoro vivo in capitale fisso, che si oppone al corpo e alla mente delle lavoratrici e dei lavoratori come una potenza estranea, ma diventa un dispositivo di razionalizzazione e gestione delle forme comuni della produzione e della riproduzione.
Le nuove assemblee costituenti non hanno più la forma settecentesca di un raggruppamento di uomini bianchi, ma diventano assemblaggi eterogenei di attanti umani ed artificiali, queer, meticci, potenziati dalla traiettoria cooperativa impressa alle nuove tecnologie (A, 121).
Il Gestionale per nuove istituzioni è una piattaforma tecno-politica sviluppata nel corso di due anni da La Scuola Open Source durante i laboratori di ricerca e co-progettazione XYZ e in collaborazione con Coompany, Dyne.org, WeMake, MACAO, Bank of the Common e Faircoin.
Il gestionale ha una funzione organizzativa: permette alle/agli utenti di accedere alla panoramica dell’offerta di attività (Eventi, Corsi, Laboratori, Progetti di ricerca) e tecnologica (Fablab / Hackerspace) de La Scuola Open Source. Ma la funzione più importante del gestionale è quella di decostruire le dicotomie classiche dell’educazione (ad es. la polarità docente/discente), della produzione (cognitiva/materiale) e dell’organizzazione (decentralizzazione).
La Bacheca delle missioni (in implementazione) e il Bazaar delle idee (attivo e funzionante) organizzano in modo cooperativo le proposte emergenti di progetti, corsi, eventi e manutenzione dei luoghi.
Qualsiasi idea / proposta viene associata a un coefficiente che ne rappresenta lo stato nel passaggio da proposta ad attività.
Grazie alla collaborazione con MACAO e Dyne.org, da settembre ogni iscritto alla community avrà anche un wallet su blockchain che permetterà di regolare le transizioni interne in Faircoin.
La Bacheca della missioni, in modo speculare al Bazaar delle idee, organizzerà e renderà espliciti dei compiti (tasks) — singoli o raggruppati — che non richiedono una lunga pianificazione e che sono più legati alla risoluzione di problemi contingenti.
La ri-progettazione del gestionale, che ha avuto luogo dalla collaborazione con MACAO, ha fatto emergere la necessità di ridiscutere le modalità di decision-making che hanno luogo nei cosiddetti Centri di produzione culturale indipendenti.
Un altro punto fondamentale di discussione riguardava le modalità di quantificazione del valore. Uscendo dalla logica del rapporto salariale e dell’economia della promessa, come possiamo pensare nuove forme di remunerazione non legate alla quantificazione temporale? In questo senso il dispositivo tecno-politico del Commoncoin in uso a MACAO offre una prospettiva concreta per governare, nel presente, uno spazio e una comunità secondo un’etica post-lavorista.
Questo è il significato dell’accelerazione del potere costituente: tracciare le norme (giuridiche, governative e algoritmiche) per produrre una ridistribuzione del reddito e una forma di remunerazione che non privilegi la quantità delle operazioni svolte, ma l’intensità della cooperazione cristallizzata in queste.
Concretamente, questo significa stabilire dei criteri di organizzazione delle attività che privilegiano la diversificazione e la rotazione dei compiti (manutenzione, organizzazione, decisione assembleare, comunicazione) e l’accordo su una soglia minima di operazioni svolte per ottenere un basic income.
Questo dispositivo permette di destituire l’estrazione del plusvalore e di eliminare la divisione tra attività cognitive e materiali, produttive e riproduttive.
Il gestionale co-progettato presso La Scuola Open Source fornisce gli strumenti algoritmici per automatizzare una parte della pianificazione e dei processi decisionali, lasciando la libertà alle singole istituzioni di personalizzare il funzionamento in accordo alle esigenze specifiche di ogni comunità.
Tecnopolitiche
Per comprendere come passare dalla forma umanistica e giuridica del potere costituente classico alla sua versione algoritmica, dobbiamo innanzitutto sgomberare il campo da alcuni equivoci. Qui non si vuole feticizzare lo sviluppo tecnologico, ma pensare ad una strategia di riconversione e innovazione di strumenti piegati a un’ideologia politica estrattiva, speculativa e devastatrice.
"Se una strategia favorisce la centralizzazione del decision-making sulle infrastrutture e facilita il controllo privato, allo stesso tempo può costituire un punto nodale per le decisioni collettive. [Le] tecnologie incorporano contemporaneamente [diverse] potenzialità, e il compito della riconfigurazione è semplicemente quello di alterare la bilancia fra queste. Uno degli aspetti della sinistra future-oriented potrebbe essere quello di stilare questi parametri generici di selezione, e di perseguire ulteriori ricerche ed analisi per determinare quali tecnologie specifiche possono essere riconfigurate e mobilitate per un progetto post-capitalista. Questo è particolarmente cruciale per i lavoratori coinvolti nel settore tecnologico che, attraverso le loro scelte, stanno costruendo il terreno per una politica futura" (IF, 152,153).
Il Gestionale per nuove istituzioni è un progetto tecno-politico che riconverte il funzionamento di due dispositivi neoliberali:
→ il management della produzione
→ l’entreprise resource planning.
Abbiamo definito il potere costituente algoritmico come una forma di razionalizzazione ed automatizzazione delle pratiche di decision-making, pianificazione e invenzione giurisprudenziale orientate al perfezionamento della cooperazione. Dal punto di vista concettuale, si tratta, per dirla con Bruno Latour, di un progetto di democrazia object-oriented, ovvero un tentativo di ripensare l’organizzazione di un’assemblea costituente come assemblaggio di attanti eterogenei che si riuniscono per discutere e decidere su questioni e problemi d’interesse comune.
“Assemblare è una cosa, rappresentare agli occhi e alle orecchie di chi è assemblato l’oggetto della discussione è un'altra. Una democrazia object-oriented dovrebbe preoccuparsi tanto della procedura per individuare le parti interessate quanto dei metodi per porre al centro del dibattito la prova di ciò che deve essere discusso” (MTP, 8, 9).
Secondo Stefano Harney, il management della produzione è “[…] la scienza capitalistica che studia la relazione fra capitale variabile e capitale costante in movimento […] In altre parole la linea [di montaggio] media la relazione tra lavoratore e macchina, e determina le proporzioni di capitale variabile e costante. Per il mdp il rapporto dell’uomo con le macchine non significa nulla in sé. È del tutto indifferente […] Una macchina o un lavoratore non sono giudicati in modo indipendente, ma solo a servizio della linea di assemblaggio e produzione, sottomessi al processo. L’algoritmo ha accelerato questa sottomissione alla linea, anche più di quello che la linea stessa è riuscita a fare” (AC, 117, 118).
Questa descrizione ci mostra chiaramente la distanza dell’mdp dalla tecno-politica di MACAO e dall’ipotesi di Srnicek e Williams: l’oscillazione fra i poli del lavoro vivo e del controllo capitalistico è qui completamente sbilanciata a favore del secondo; il divenire macchina produce uno spasmo corporeo e psichico. L’mdp genera astrazione, rendendo sempre più incorporea l’istanza di controllo e sfruttamento. Si tratta quindi di contrastare l’astrazione al suo stesso livello (AC, 44, 45), proponendo una pianificazione alternativa.
Lo stesso discorso vale per l’erp (entreprise resource planning) di cui parla Giorgio Griziotti in Neurocapitalismo: “L’erp è infatti il sistema applicativo globale destinato ad integrare tutte le informazioni interne ed esterne che attraversano l’intera organizzazione dell’impresa, che sono i dati indispensabili alle nuove forme di controllo generalizzato […] L’erp pianifica, integra ed assoggetta nell’ecosistema-impresa le meccaniche delle fabbricazioni automatizzate ed i processi cognitivi tesi verso la massimizzazione di rendita e profitto. Sono i neuroprocessi cognitivi più che il fisico esercizio ripetitivo della catena, che ormai vengono modellati nell’integrazione sempre più totalizzante tramite un avvolgente ecosistema tecnologico ritmato dalla continua scansione di database, dal fluire esecutivo del codice macchina e della pervasività dei punti di accesso alla rete nello spazio-tempo” (NC, 59-63). Abbiamo visto come mdp ed erp manifestino in modo paradigmatico la curvatura algoritmica delle modalità contemporanee della sussunzione. Un modello di sussunzione totalizzante che Hardt e Negri qualificano come estrattivismo (A, 184-193).
Nuove istituzioni
Dal momento che l’estrazione è penetrata in ogni ambito, dalla distruzione ecologica alle guerre neo-coloniali, dai lavori 24/7 all’High Frequency trading, il compito presente delle nuove istituzioni è centrale.
Per questo è tanto più urgente formare una rete comune, incontrarsi, mescolare le competenze, discutere collettivamente.
Le nuove istituzioni sono in cerca di una definizione politica, giuridica, lavorativa, culturale e pianificativa. Possiamo pensare che queste siano solamente delle politiche prefigurative (A, 274-275), sul modello delle utopie fourieriste o delle TAZ: delle zone dove si praticano a livello locale e quotidiano dei modi di vita esterni alla logica dell’estrattivismo.
Ma in che modo queste istituzioni dialogherebbero con il resto della società? Quali strutture di traduzione giuridica e politica potrebbero aumentare il loro peso nella scacchiera politica nazionale ed internazionale?
Inoltre: se c’è l’evidente necessità di stabilire una rete più ampia, che metta in relazione comunità diverse con finalità e obiettivi diversi, che ruolo hanno le convinzioni politiche ed etiche delle realtà coinvolte?
Infine, la domanda che a nostro avviso risulta più importante:
su che scala una confederazione delle nuove istituzioni dovrebbe operare?
Il gestionale co-progettato presso La Scuola Open Source, abbiamo visto, potrebbe essere descritto come un tentativo di elaborare una carta costituente.
Il progetto della moneta del comune (common coin), invece, è un modello per ripensare la distribuzione del reddito.
Resta quindi da chiedersi: dov’è situata la dimensione politica di questo progetto? Lo abbiamo visto: nelle scelte sulle tecnologie, ma anche nello stesso tentativo di mettere assieme realtà eterogenee e competenze disomogenee.
Uno dei punti più interessanti di Inventare il Futuro è l’identificazione della centralità di un’istanza egemonica e direttiva nell’elaborazione di un progetto politico post-capitalista “Siamo chiari: in assenza di un simultaneo cambiamento dell’idea egemonica di società, le nuove tecnologie continueranno ad essere utilizzate in modo capitalista, e le vecchie tecnologie resteranno prigioniere dei valori capitalisti.
Questa strategia egemonica è quindi necessaria ad ogni progetto di trasformazione della società e dell’economia.
In molti sensi, la politica egemonica è l’antitesi delle folk politics.
Questa cerca di persuadere e di influenzare, piuttosto che presupporre una politicizzazione spontanea; lavora in modo scalare, piuttosto che nel tangibile e nel locale; e cerca di ottenere delle forme di potere sociale che siano durature, piuttosto che temporanee” (IF, 153). Questo implica anche l’utilizzo di concetti controversi come quello di persuasione, egemonia, direzione dei movimenti politici.
La risposta di Hardt e Negri sulla eventualità di un controllo della moltitudine non può che essere negativa: “Equiparare i movimenti alla strategia significa che questi possiedono già (o possono sviluppare) un'adeguata conoscenza della realtà sociale e possono tracciare la propria direzione politica a lungo termine. Dobbiamo riconoscere, da un lato, le conoscenze e le capacità organizzative che la gente [people] già possiede e, dall'altro l'altro, ciò che è necessario all’intera moltitudine per partecipare attivamente alla costruzione e alla realizzazione di progetti politici duraturi. Non è necessario dare alla gente [people] la linea del partito per informare e guidare la loro pratica. Hanno il potenziale per riconoscere la loro oppressione e sapere cosa vogliono” (A, 20, 21).
Di nuovo si prospetta un’oscillazione fra due prospettive diverse: quella della pianificazione e della costruzione di un progetto egementonico di larga scala e quella dell’interpretazione tattica delle potenzialità di cambiamento sociale espresse dai movimenti. Quello che sappiamo è che ci troviamo in una crisi generalizzata delle istituzioni della società disciplinare, ma non sappiamo ancora quale sarà la forma, il luogo e l’organizzazione delle istituzioni future (NC, 85-88, 197-199). Possiamo aggiungere che, per il momento, in Italia ancora non esiste un tessuto connettivo che rende possibile una collaborazione più stretta fra i vari Centri di produzione culturale indipendenti. Progetti come Commoncoin e il Gestionale per Nuove Istituzioni prefigurerebbero il modello di una società post-capitalistica?
Vorremmo concludere questo articolo con una doppia lista di luoghi, modelli epistemici, sistemi di governance, tecnologie, relazioni sociali: nella colonna sinistra abbiamo elencato un insieme disomogeneo di quelle che riteniamo essere le forme presenti e/o in crisi, nella colonna di destra, quella che pensiamo possa essere la migliore versione futura delle stesse. Non c’è alcuna pretesa di esaustività o coerenza: è solo un esperimento iperstizionale, che chiunque può criticare, copiare, modificare o rigettare, siate libere/i di farne ciò che volete!
“Alla fine bisognerà riprendere l’idea che l’intelligenza sia cosa sociale più che individuale,e che questa trovi nel sociale l’ambiente intermedio che la rende possibile. Qual’è la funzione del sociale in rapporto alle tendenze? È integrare le circostanze ed i fattori interni in un sistema di anticipazione che regoli la loro apparizione, rimpiazzando la specie. Questo fanno le istituzioni [...] Ogni istituzione impone al nostro corpo, anche nelle strutture involontarie, una serie di modelli, e conferisce alla nostra intelligenza un sapere, una possibilità di previsione e progettazione [...] L’uomo è un animale che sta per spogliarsi dalla specie. In questo senso l’istinto tradurrebbe le urgenze dell’animale, e l’istituzione le esigenze dell’uomo: l’urgenza della fame si trasforma nell’uomo nella rivendicazione di avere del pane ” (I, 27)
Luoghi
Fabbrica → Fablab
Scuola → Istituzioni Open Source
Ufficio → Hackerspace / Co-Working
Epistemologia / governo / tecnologie
Governance neoliberale → Potere costituente algoritmico
Neo-Darwinismo (sintesi moderna) → Simbiogenesi / Epigenetica (sintesi integrata)
Modi di produzione
Narco-Capitalismo / Big Pharma → Biohacking
Platform Capitalism → Platform Cooperativism
Protocolli / Monete / rapporti di produzione
Copyright → Creative Commons
Fiat Currencies / Criptomonete speculative → Faircoin / Commoncoin
Proof of work → Proof of cooperation
Entreprise Resoruce Planning / Management della produzione → Gestionale per nuove istituzioni
Rapporto salariale / Economia della promessa → Universal Basic Income
Startup → Imprenditoria della Moltitudine
Bibliografia
Alexander Galloway, Protocol: How control exists after decentralization (Cambridge - M.I.T. Press, 2004) [P]
Antonio Negri, Il Potere Costituente: Saggio sulle alternative del moderno (Venezia - SugarCo, 1992) [PC]
Bruno Latour, Peter Weibel, Making things public: atmospheres of democracy (Karlsruhe - MIT Press, 2005) [MTP]
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Gilles Deleuze, Instincts et Institutions in L’île déserte et autres textes : textes et entretiens, 1953-1974 (Paris - Editions de Minuit 2002, pp. 24-27) [I]
Giorgio Agamben, Che cos’è un comando? In Creazione e anarchia: L’opera nell’età della religione capitalistica (Vicenza - Neri Pozza 2017, pp. 91-112) [CC]
Giorgio Griziotti, Neurocapitalismo: Mediazioni tecnologiche e linee di fuga (Milano - Mimesis, 2016) [NC]
José Gil, “Costituzione” voce dell’Enciclopedia Einaudi (Einaudi - Torino, 1978, pp. 3-24) [C]
Matteo Pasquinelli, ed., Gli algoritmi del capitale : Accelerazionismo, macchine della conoscenza e autonomia del comune (Verona - Ombre corte, 2014) [AC]
Michael Hardt e Antonio Negri, Assembly (Oxford - Oxford University Press, 2017) [A]
Nick Srnicek, Alex Williams, Inventing the future: postcapitalism and a world without work, (London - Verso 2015) [IF]