L a S c u o l a O p e n S o u r c e
S O S
teachings / x — @ Macao (Milano)
Tommaso Guariento — Ricercatore freelance, autore @ Not, Indiscreto
Tommaso Guariento
Ricercatore freelance, autore / Not, Indiscreto
(Padova 1985) ha studiato filosofia contemporanea presso l’Università degli Studi di Padova e a Paris 1 - Pantheon Sorbonne. È dottore di ricerca in Studi Culturali Europei presso l’Università di Palermo. Ha svolto attività di ricerca nel campo dell’antropologia francese contemporanea presso l’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales sotto la guida del professor Carlo Severi. Ha scritto vari articoli e collaborato a collettanee nel campo dei visual studies, della filosofia e dell’antropologia contemporanea. Scrive per varie riviste on-line fra cui Not, Prismo, Effimera, L’indiscreto, Il Lavoro Culturale. I suoi principali interessi sono la filosofia e l’antropologia francese contemporanea, i visual studies, la semiotica e l’analisi dell’immaginario del presente. In particolare, le sue ricerche più recenti riguardano i rapporti che gli studi etnografici intrattengono con la filosofia contemporanea (il dibattito intorno all’ontological turn ed allo speculative realism), lo studio delle mitologie del presente attraverso gli strumenti dell’antropologia cognitiva e culturale, e la filosofia politica post-operaista ed accelerazionista. Fra le sue ultime pubblicazioni, menzioniamo: Introduzione al pensiero di Nick Land (Lo sguardo 2017), Umanizzazione, animalizzazione, automatizzazione. Dalla dottrina delle segnature alla zoosemiotica in G. Marrone (a cura di), Zoosemiotica 2.0 (2017), Voir le refuge. Culture visuelle de l’Anthropocène entre catastrophe et construction des niches in R. Beau, C. Larrère, Penser l’Anthropocène (2018).
Comprendere i concetti chiave dei visual studies permette di orientarsi in modo consapevole nell’iconosfera contemporanea, di distinguere i vari modi di produzione delle immagini e di riflettere sui processi di elaborazione degli immaginari collettivi. I visual studies sono una disciplina che nasce negli anni ‘80/’90 in ambito anglosassone come sottoinsieme dei cultural studies. In quanto metodo di analisi, i visual studies contestano l’approccio estetico e formalistico della storia dell’arte per concentrarsi sugli usi, le passioni e le tecnologie implicati nel rapporto con le rappresentazioni. I visual studies, inoltre, costituiscono un metodo per analizzare il campo dell’immaginario in tutte le sue forme (non solo quelle propriamente ‘artistiche’, ma anche cinematografiche, pubblicitarie, scientifiche, etnografiche, digitali). In particolare in questo corso verranno analizzate le modalità di costruzione e rappresentazione di un immaginario collettivo legato ai movimenti politici a partire dai primi anni Duemila sino a Non una di meno.
☛ Acquisizione delle nozioni di base del metodo iconografico ed iconologico
☛ Introduzione allo studio antropologico delle modalità di produzione e ricezione delle immagini
☛ Acquisizione delle nozioni di base di memetica, neuroestetica e digital humanities
☛ Introduzione al visual activism
ATTENZIONE:
Questa attività si svolgerà presso: MACAO — Nuovo Centro per le Arti, la Cultura e la Ricerca Milano → Viale Molise 68.
Si tratterà di sviluppare un’introduzione ai contenuti generali dei Visual Studies attraverso una scansione in cinque fasi:
☛ 1 — Riconoscimento
(metodo iconografico ed intersezionalità)
☛ 2 — Migrazione
(teorie del simbolo e paradigma indiziario)
☛ 3 — Iconoclash/guerra delle immagini
☛ 4 — Memetica, Digital Humanities, Neuroscienze
☛ 5 — Immaginari delle lotte
(analisi iconologica delle pratiche di contro-visualità)
☛ 1 — Nella prima parte si tratterà la questione del metodo iconografico, ovvero: come si scompone un’immagine in unità discrete (persone, artefatti, piante, animali, gesti, simboli)? Si farà riferimento alla semiotica visiva (Piero. Polidoro, Che cos’è la semiotica visiva, Roma, Carocci, 2008) e verrà presentata un’introduzione metodologica all’iconografia (Roelof van Straten, Introduzione all’iconografia, Milano, Jaca book, 2009). Non si può parlare di riconoscimento senza fare riferimento alle condizioni di razza, classe e genere che condizionano la percezione e le rappresentazioni, per questo il metodo iconografico verrà decostruito secondo una prospettiva intersezionale (John Berger, Modi di vedere, Torino, Bollati Boringhieri, 2004; Angela Davis, Donne, Razza, Classe, Roma, Alegre, 2018).
☛ 2 — Nella seconda si parlerà di migrazione delle immagini, rispondendo alla domanda: In che modo i simboli (le ‘Pathosformel’ di Aby Warburg) si spostano da una cultura all’altra e da un’epoca all’altra? Avendo acquisito nella prima parte i rudimenti per scomporre un testo visivo in unità di significato interconnesse, in questo modulo si cercherà di mostrare come queste unità non siano statiche, ma dinamiche, perché si spostano costantemente cronologicamente e geograficamente. Il modo migliore per spiegare come funziona il riconoscimento della migrazione delle immagini è attraverso l’analogia con il metodo abduttivo del detective (il Carlo Ginzburg, Miti, emblemi e spie, Einaudi, 2000; W.J.T Mitchell, Method, Madness, Montage). In questa parte verrà approfondita la natura dei simboli, la loro interpretazione e le loro migrazioni (Gombrich, Ernst, Immagini simboliche, Torino, Einaudi, 1979; Dan Sperber, Rethinking symbolism, Cambridge, Cambridge University Press, 1975). Verranno discussi gli aspetti razionali ed irrazionali che caratterizzano l’universo simbolico, mostrando come il paradigma indiziario del detective sia accostabile allo studio iconologico. In particolare si farà riferimento alla visualizzazione cinematografica e narrativa del procedimento investigativo (la serie True Detective, il romanzo giallo).
☛ 3 — Nella terza parte si analizzerà l’aspetto conflittuale del campo iconico. Non solo le immagini sono scomponibili in unità che possono trasformarsi e variare nel corso del tempo, ma si contrappongono costantemente all’interno di una guerra strategica per la conquista di uno spazio di visibilità. Verrà presentato il campo di studi dell’antropologia visiva (Philippe Descola, (a cura di), La fabrique des images, Paris, 2010;Hans Belting Antropologia delle immagini, Roma, Carocci, 2011; Carlo Severi, Il percorso e la voce, Torino, Einaudi, 2004; Serge Gruzinski, La guerra delle immagini, Milano, Sugarco, 1990) e la tematica dell’Iconoclash di Bruno Latour (Bruno Latour, Peter Weibel (a cura di), Iconoclash, Karlsruhe-London, ZKM, 2002). Questo passaggio permetterà di comprendere che non esistono immagini archetipiche che permangono inalterate nella sfera della cultura, al contrario ci sono simboli che si polarizzano, si ibridano, si scompongono e si ricompongono per effetto di dinamiche sociali, economiche e politiche. L’analisi antropologica del conflitto delle immagini e dei regimi di rappresentazione permette inoltre di valutare gli esiti politici e mediatici dell’utilizzo di immagini nella comunicazione digitale.
☛ 4 — Nella quarta parte le competenze apprese precedentemente verranno applicate all’analisi dell’uso delle immagini nella sfera dei new media. Si traccerà una genealogia della memetica (lo studio della diffusione dei simboli virali), evidenziando i suoi rapporti con l’antropologia cognitiva e l’iconologia politica (Dan Sperber, Il contagio delle idee, Milano, Feltrinelli, 1999; Mitchell, W. J. T., Cloning terror: la guerra delle immagini dall’11 settembre a oggi, Firenze, La casa Usher, 2012.). Verranno trattati i recenti sviluppi dell’iconografia nel campo delle digital humanities (Lev Manovich, Automating Aesthetics) e delle neuroscienze (Vilayanur S. Ramachandran, Che cosa sappiamo della mente, Milano, Mondadori, 2006; Eric Kandel, Arte e Neuroscienze, Milano, Raffaello Cortina, 2017.). Un approccio naturalistico, filogenetico ed algoritmico al problema della diffusione delle immagini altera completamente le possibilità e gli esiti della ricerca iconografica e della metodologia dei visual studies e fornisce nuovi strumenti per la comprensione di fenomeni che fino a pochi anni fa erano completamente oscuri. Si discuteranno, infine, le pratiche artistiche contemporanee legate alla post-internet art (Harun Farocki, Hito steyerl, Metahaven, Lawrence Lek, Clusterduck), riflettendo sulla produzione ed accumulazione del capitale iconico (Lev Manovich, Instagram and Contemporary Image).
☛ 5 — L’ultima parte del corso sarà costituita da un workshop dedicato alle pratiche di visual activism (Mirzoeff). Si partirà dall’iconologia politica delle rivolte recentemente analizzata in una mostra al Jeu de Paume (Paris 2016-2017) da Didi-Huberman (Soulèvements, Paris, Gallimard/Jeu de Paume, 2016) per cercare di comprendere collettivamente le modalità di produzione iconica e di rappresentazione dei movimenti politici, ed in particolare delle lotte intersezionali di Non una di meno. Seguendo l’analisi mitologica di Jesi (Spartakus: simbologia della rivolta, Torino, Bollati Boringhieri, 2000), la teoria performativa dell’azione collettiva di Judith Butler (L’alleanza dei corpi, Roma, Nottetempo, 2017) e l’estetica politica di Jaques Rancière (La partizione del sensibile, Roma, DeriveApprodi, 2016; Lo spettatore emancipato, Roma, DeriveApprodi, 2017) si cercherà di indagare il rapporto fra la costruzione di un immaginario, la sua ricezione mediatica e le sopravvivenze di temi simbolici (mitologici, narrativi, figurativi, cinematografici). L’iconosfera contemporanea è un campo di battaglia determinato da una pluralità di partizioni del sensibile (subalterne/egemoni, radicali/reazionarie, collettive/individuali, etc…): i visual studies consentono di studiare ed intervenire consapevolmente in questo campo conflittuale.
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